lunedì 27 agosto 2018

408. Riflessioni sul viadotto di Genova.



Compendio e rielaborazione da un lungo articolo di Giovanni Lamagna.
La caduta del viadotto Morandi sovrastante la Valpolcevera a Genova costituisce una tragedia enorme non solo per i suoi costi umani e materiali rispetto a città, regione e Paese intero, enorme come il suo significato simbolico che segna la fine di una fase politico-economica.
Anche il delitto Moro 40 anni fa, su un piano del tutto diverso, segnò l’inizio della fine della Prima Repubblica che aveva varato, dopo la caduta della monarchia, la nuova Costituzione caratterizzata da antifascismo e diritto per tutti al lavoro: confusione e incertezza politica, con la messa in discussione della Costituzione, sdoganarono sempre di più fino ai nostri giorni i gruppi ispirati al fascismo e al nazismo.
Dopo i "delitti di Stato" degli anni ’70, passati impuniti, negli anni ’90 ci fu la nefasta svolta politica e istituzionale del Paese.
Il delitto Moro non aveva messo in discussione in modo diretto quel Modello-Paese.
Ma il neoliberismo si impose pian piano nei decenni, senza che la politica europea proponesse alternative, sino a diventare Pensiero Unico.
Quel nuovo modello economico prospettò una crescita infinita tramite l’idea di sviluppo e progresso attraverso gigantismo e grandi opere, in consonanza con gli interessi di grandi potenze economiche: in primo piano la FIAT, simbolo trainante dell’industria e di tutta l’economia italiana che inaugurarono il “miracolo italiano”.
Si iniziò con la costruzione delle grandi infrastrutture idroelettriche, delle centrali atomiche e delle grandi autostrade, per prima l’Autostrada del Sole, con le varie tratte locali e interregionali, i grandi viadotti e il progetto del ponte sullo stretto di Messina, più volte accantonato.
La caduta del ponte Morandi a Genova può essere verosimilmente la pietra tombale di questa fase economica nazionale, come lo fu il delitto Moro rispetto alla politica del nostro Paese.
Quei 2 tronconi di ponte simboleggiano anche la spaccatura tra due tronconi di Paese: uno maggioritario, ma i cui interessi contano poco, ed uno minoritario, i cui interessi concentrati però contano molto di più dei primi. Questi 2 tronconi non sono più in grado di comunicare tra loro, come dimostrato dal dibattito vergognoso di questi giorni.
Sotto quelle macerie è rimasto quel modello di economia, a cui la volontà politica delle Istituzioni dovrebbe sostituire un progetto economico alternativo non irrealistico, con un’inversione radicale di tendenza nel ridefinire le priorità, ridestinando per esempio le centinaia di miliardi finora impiegate per le “grandi opere” alle innumerevoli migliaia di “piccole opere” per la messa in sicurezza del nostro Paese.
Purtroppo è probabile che la prossima fase non sia di nuovo in grado di trarre utili insegnamenti dalla conclusione della fase precedente.
Un ulteriore aggravamento della crisi già in atto da decenni potrebbe presentarsi molto presto. In Italia prevale sfortunatamente l’incapacità di fare scelte radicali, se non rivoluzionarie, per invertire le tendenze di 70 anni di politica economica. E questo porta a paventare ulteriori costi umani e materiali.
Il delitto Moro rappresentava la reazione delle Istituzioni alle spinte innovative che portò successivamente a un riflusso culturale e politico: e siamo dentro ancora fino al collo nel gorgo del neoliberismo mangiatutto.
Quei pilastri di calcestruzzo logorati dal tempo, crollati per colpa evidente dell’incompetenza e dell’incuria delle classi dirigenti di questi ultimi 70 ann, sono i testimonii di quanto quel modello di “sviluppo” non funziona e non può funzionare più.
Il Paese cade a pezzi, dissestato idrogeologicamente, con scuole senza messa in sicurezza, ponti e strade usurati al limite.
Sono anni che disastri analoghi a quello di Genova si stanno verificando. Ma qui c’è stata la strage. Le grandi opere arricchiscono poche grandi imprese, le piccole opere non sono funzionali agli interessi di queste stesse grandi imprese, ma l’inversione di tendenza nei disastri e nelle priorità ha bisogno di un cambiamento radicale dell’orizzonte culturale e politico.
Sarebbe il popolo a dover essere consapevole della necessità di questo cambiamento: risulta essenziale farsi rappresentare da forze politiche non al soldo delle grandi imprese come invece è successo da destra a sinistra in questi '70 anni di repubblica.
Ma risulterà molto difficile uscire da questo modello di sviluppo internazionale, simile a un boa constrictor.